di
Gaber –
Luporini
MONOLOGO
(Interno – tardo pomeriggio)
Che caldo! Mai sentito un caldo così soffocante. Strano, sembrava inverno fino a ieri… E ora, alle sette di sera, non si respira. Proviamo sul balcone.
Guarda che roba: si trasforma la città ai primi caldi. E anche più silenziosa, bella compatta… una caldaia. Sembra che fumi. Meglio chiudere le persiane e stare fermi.
È finita. Questa volta è proprio finita. Lei ha deciso di andarsene. Non la rivedrò più. Benissimo!
Tre anni, un amore folle… forse più lei di me. Era così innamorata… E io, devo dire, negli ultimi tempi non ne avevo neanche un gran bisogno. Non gliel’ho mai detto per non farla soffrire. Ecco: mi ha lasciato lei. E brava Cristina, ha fatto bene.
Che caldo! Certo che anche lei… lasciarmi con questo caldo… In genere preferisco che mi lascino d’inverno. Comunque è un bene che lo facciano loro. Io non lascio mai… per principio; anzi, per vigliaccheria. Ci ho paura. Le donne possono fare di tutto. Una volta ho detto a una: “Ti lascio.” PUM! Svenuta. Tutta la gente intorno: “È lui, è lui… assassino!” Aceto, sali… Rinviene. “Andiamo a casa, amore… per carità, come non detto.” Non sono contente le donne quando non le ami più. Da allora io… zitto. E lei: “Ma tu non mi ami?!” “Sì che ti amo, per dio!”
Tutte così le donne, tutte uguali. Cristina, no. Non sviene. S’ammazza. Cioè, si ammazzava… voglio dire… non ora… ora torna dal marito, tranquilla. È la prima volta che mi lasciano per il marito. E la sensazione non è bella. Che ci farà col marito?!… Che caldo!
E pensare che voleva fare un figlio… con me. E io no. Anzi, avevo il terrore di rifare un’altra famiglia.
Ecco cosa ci avevo con Cristina: un’attrazione fisica fortissima, mai provata. Bastava che ci si sfiorasse, e io… TUM!… subito. Che riflessi! Ma l’amavo davvero… non è che non l’amassi. Non avevo voglia di fare progetti e basta. È per questo che mi ha lasciato… Questo voleva Cristina. Cristo, che caldo!
Me lo poteva anche dire subito: o il figlio o niente. Ma possibile che tutte vogliano un figlio da me!… E chi sono? Un toro?!…
È vero, è vero, la colpa è mia, lo so… E non mi prendo responsabilità… bene!… Sono egoista… bene!… Vivo al momento… bene! Ho paura di invischiarmi… bene!… Sì, sì, lo so… Vigliaccheria, vigliaccheria. Ma santo Dio, si scopava così bene… che c’entrano i figli?!
Lei aveva una gonna chiara e camminava un po’ avanti a me sulla pensilina che porta ai treni. È lì che mi ha detto che era finita, poco prima di partire. Non era né allegra né felice. Le stazioni sono il posto ideale per certe malinconie. Non volevo che finisse così. Ma tutte le parole che ho trovato per fermarla non avevano risonanza. Subito dopo camminava già verso il suo scompartimento. Avrei dovuto richiamarla. Lei se ne andava per sempre. La pensilina si era riempita improvvisamente di silenzio. A trenta metri di distanza la mia donna, una figurina lontana e sola, sembrava che radunasse lentamente tutte le ombre della sera attorno alla sua gonna. Ti resta solo un nodo alla gola. Addio Cristina!
Bello quest’addio… alla stazione. Poetico… Tutto intriso di malinconia, di dolore. Ogni tanto ci si lascia prendere da qualcosa che assomiglia a un sentimento vero. No, perché è bene saperlo se uno soffre o no. Dunque: tre mesi fa stavo per lasciarla io… per l’australiana. E lei: un dolore!… Il Leopardi, sembrava… Esagerata!
Ora è lei che mi lascia. E diciamo la verità: un po’ mi dispiace. Sì, un po’. Non si deve rischiare di ingigantire. È un dolorino. Un piccolo fastidio… un dolorino. Ecco, è questa pulizia del sentimento che è importante. Certo che se l’avessi lasciata io ai tempi dell’australiana…
(un po’ risentito) No, il fatto e che mi lascia così… improvvisamente… dopo tre anni… alla stazione… due parole: addio. Non è possibile che non mi pensi. Perché non mi chiama… Ma sì, cosa ci vuole… una telefonata!… Lo sa che per me sarebbe tutto… in questo momento. Che scemo! Non ci sono mica i telefoni in treno. Ma, chi lo sa… un miracolo. È così che si diventa cattolici! Eppure sono sicuro che se lei volesse… certo… si potrebbe fermare a Genova… cambiare treno, tornare indietro… telefonare, scrivere… si possono fare dei telegrammi bellissimi da Genova. Noleggiare cavalli, aeroplani, biciclette… Raggiungermi… Vederla arrivare qui col cuore in gola… Ecco cosa mi ci vuole… Per amore si fa questo e altro. Io lo farei. Io, quando voglio bene, mi arrampico sui vetri… faccio di tutto… Sì, perché a Genova ci vado a piedi, io!
Sto esagerando. È una storia finita e basta. Non è la prima. E poi non è mica una tragedia. Dopo un po’ passa. Non è mica morto nessuno… Lei mi lascia… e io mi ammazzo. Mi butto. Mi butto dalla finestra, va bene? No, uno magari pensa: la riconquisto. Non si rimonta mai. Fai un sacco di discorsi, belli anche, di quelli che fanno colpo. Quale colpo?!… Una volta facevano colpo. Ma cosa parlo a fare, cretino! Con questa faccia da perdente… Un pugno ci vorrebbe: PUM!… invece di inciampare sulle parole, un fiume di parole… che quella poi va a casa e dice: “Ma che ha detto?! Niente!” PUM!… Invece, quello sì che se lo porta a casa. Tanto non si rimonta. Hai voglia di averci ragione. Non si rimonta mai con le parole. Col suicidio… ecco, col suicidio si rimonta: tie’! beccati questa. Così impari. Non lo sapevi tu chi ero io. Ecco, ora lo sai: un cadavere. Ma guarda se questa mi doveva ridurre così! Non si sta mai tranquilli. Avevo appena finito di pagare la casa. Mi lascia… E poi chi è quel deficiente che dice che è un dolorino?!… Ma quale dolorino… Soffro come una bestia. Ma lei lo saprà cos’è il mio dolore? No, perché magari non lo sa. Allora: tie’! Perché il mio è più grosso del tuo. Io ti butto addosso tanto di quel dolore che il Leopardi diventa un allegrone. Glielo ridicolizzo il poeta! Ma poi chi se ne frega dei poeti… No! Torna dal marito, lei… E magari fanno anche l’amore, questi viziosi… con quel suo corpo da mamma, da animale. Via, via!.. Basta!.. È finita! È finita!.. Che cosa vuoi che me ne importi di quella schifosa che va a letto anche con suo marito! Aria… ho bisogno di aria. (va alla finestra)
Come sono strani i cortili dei condomini… un misto di prigione e di giardini pubblici… con quei fiori che si arrampicano sui muri scalcinati. Era una sera come questa… che aveva rubato delle rose, Cristina… e saliva le scale. Cristina!… Non importa… passerà. Dovrà pur sciogliersi questo nodo alla gola!.. Sì, mi calmo… mi calmo.
La stanza si è immersa nel silenzio e nel buio. II soffitto mi pesa addosso, trasudante, compatto. Completamente nudo mi muovo appena sotto il lenzuolo bianco, sottilissimo. Lo stringo con i denti, con le labbra. Poi lo sposto, lo sollevo in aria… si gonfia, ricade adagio… Un brivido… Cristina, sto male, sto tremando, ho la febbre… e sudo, e sudo, e sudo… e invoco… e deliro. E ancora una volta sudo dalla testa ai piedi. Mi passo una mano sui corpo, caldo, caldissimo, bagnato… sulle cosce, sulla pancia, e poi… Cristina, Cristina, Cristina!.. L’immagine si fa più pressante, corporea. Anche lei e tutta sudata, sudatissima. Le sue mani sul mio corpo… sì, le sento: allucinazione, ricordo, dolore, stordimento, stanchezza, eccitazione, forse… ma in delirio. Ora mi giro e strofino il mio corpo contro il letto. Forse sussurro anche qualcosa… Ma certo, e un attimo: lacrime, calore, saliva, frasi, membra, rimpianti, globuli, liquefazione, tutto… tutto si riversa sui lenzuolo.
Addio Cristina.