Vivere in terza persona
è il talento stanco di un automa
quando l’amore è una fuga
che più ci unisce e più ci frantuma
è una goccia che non si asciuga
Vivere in terza persona
è come quel quadro di Velazquez
non sai chi è il soggetto
mi fingo al posto del posto di un altro
spettatore di me stesso da dentro
Mi piacciono i verbi all’infinito
perché sanno evitare
il vuoto e il concreto
il giusto e sbagliato
sempre in conflitto con gli imperativi,
con i pronomi, il soggetto,
gli avverbi, il tempo,
e i punti esclamativi
Come vorrei assomigliargli
avere un decimo dei loro artigli
in un presente così arrogante
divento sempre troppo ubbidiente
troppo ubbidiente
come la parte messa da parte
di un discorso troppo introverso
Vivere in terza persona
sempre schiacciati in una trama
perché il dovere chiama
è una vita che ci stiamo lasciando
è una vita che ci stiamo credendo
Mi piacciono i verbi all’infinito
dove tutto è più vago
unito e slegato
ma il senso è compiuto
imprigionati nei dizionari
ma liberi e soli
come aquiloni, pensatori
senza fili
Come vorrei assomigliare
all’infinito del verbo “amare”
perché non gli importa toccare il cielo
per capire se è vero
se ti amerò o ti amo davvero
io nel tuo letto, tu nel mio letto
ma niente patti, nessun progetto
per non ritrovarsi poi come sinonimi
comparati, rimpiazzati, anonimi
come la parte messa da parte
di un discorso troppo introverso