di
Gaber –
Luporini
Una macchina. Una macchina nuova, di serie, pulita. Motore a posto, ho fatto l’ultimo tagliando, tutto funzionante. Lucida, verniciata, curata nelle sue rifiniture.
Il cambio è a cloche piccolo, finito allo snodo con un soffietto in finta pelle lucida, trapuntata.
Il posto per gli spiccioli, un rettangolo modernissimo, nero, zigrinato.
Portaceneri a sportelli di plastica neri opachi, perfettamente funzionanti.
Una mano, una mano di uomo, bianca, poco pelosa, si muove piano, apre un deflettore. Il vetro scivola, stride leggermente, un rumore sottile, acuto. Poi silenzio.
Una testa si avvicina, si appoggia al vetro. Una goccia cade adagio dalla fronte, ferma, immobile. L’uomo è fermo immobile. Anche la macchina è ferma immobile.
Un’autostrada, un’autostrada di macchine ferme. Molte, moltissime macchine ferme, una fila di macchine ferme.
È successo qualcosa, è successo qualcosa, rumore di clacson, sirena a luci intermittente.
“Sì, qualcosa al chilometro 107. Un camion.”
Ancora silenzio. La fila è ferma, qualcuno scende. Silenzio. Un silenzio assurdo. Si sente parlare in inglese, lontano, bassa voce, come in un sogno. Ancora sirena lamentosa, ovattata, lontana.
Si risale. La fila procede adagio. Qualche sorpasso timido, emozionante, 120, 150, 190. Lampeggiatore, sorpasso. Lampeggiatore, sorpasso, clacson. La prima galleria, luci di posizione. Lampeggiatore, sorpasso, la seconda galleria.
Il paesaggio si muove, non è più orizzontale. Macchie verdi in alto, in basso, si distende a scaletta, saltellante, gradevole.
Galleria, buio, luce.
Galleria, buio, luce.
Galleria, buio, luce.
Apertura, ci siamo, il mare, il mare, il mare