Mio nonno li lanciava sempre
spalle al bersaglio,
senza voltarsi mai,
senza il minimo sbaglio:
e io stavo a guardarlo
innamorato perso
sulla riva del fiume,
seguendo i suoi coltelli volare
leggeri come piume …
E mio padre m’insegnò a lanciarli
ad occhi chiusi, perché si mira con il cuore,
perché un vero lanciatore di coltelli
ricama la vita, non tira mica per colpire:
e mio padre m’insegnò che i venti
cambiano sempre e ti imbrogliano le dita
e non c’è memoria dei tiri precedenti
perché ogni volta è una scommessa infinita.
E volavano su nel cielo
lungo invisibili fili d’oro
i coltelli di mio padre e di mio nonno,
ogni tiro era un capolavoro,
ogni lama prendeva una stella,
ogni stella si sparpagliava nel cielo,
e potevi finalmente vederla la vita
vederla, vederla davvero…
E così imparai a lanciarli
senza essere bravo,
forse per imitarli,
o forse perché amavo…
E volavano su nel cielo
lungo invisibili fili d’oro:
ma questi erano i “miei” coltelli
e lo vedevo che assomigliavo a loro;
e ogni volta ero senza fiato,
e ogni volta mi guardavo la mano,
“ma come ho fatto? Ma com’è che è stato?
Com’è che vanno così lontano?”
E volavano su nel cielo
come ricordi, come paure,
queste piccole cose di uomo
che sono ritorni, che sono avventure
e anch’io ogni tanto prendevo una stella,
e illuminavo uno sputo di cielo
e potevo finalmente vederla la vita
vederla, vederla davvero!
All’alba raccoglievo i coltelli
di mio padre e di mio nonno;
e loro non mi dissero mai
che viaggiavamo dentro un sogno;
che, finito il momento magico
del suo coltello in volo,
il lanciatore
è solo.