(di
Luca Medri e
Mario Ulderici)
Khorakhanè
Falce, forcale, vanga o rastrello, in mano aveva sempre un attrezzo
madre in cucina, pie le sorelle, camino acceso, i buoi nella stalla
obbedire, verbo bandito: della libertà pagò il prezzo
il federale lo prelevò, non più zappa ma fucile in spalla.
Diciotto anni, rabbia e livore,
al fronte a fare la guerra
ballila non lo era mai stato, non volle sfilare in orbace
sotto l’elmetto Gino sognava: l’aratro tagliava la terra,
a mietere il grano, l’odore del vino, ma ci voleva la pace.
Sinistro un treno arrancando lo portava dritto alla morte deportato,
smarrito, in guerra non puoi scegliere la tua sorte sparare e uccidere
oppure la fame,
il freddo, la prigionia ammazzi l’altro;
giudice, boia, assassino o nel fango del lager …la tua agonia.
Gavetta, brodaglia, lampi, frastuono,
un’ossessione:fuggire quel contadino giovane e mite non avrebbe ucciso
nessuno
sostò il treno, decise in fretta e scappò all’imbrunire corse forte,
latrato di cani e risenti il profumo del fieno.
Aprile, primo sole, paese liberato, dal nord in bicicletta tornò a casa
dinamo, fanale e buche anche di notte,
se la guerra era finita spettri fantasmi ad ogni angolo di strada,
segni di croce ad ogni angolo di chiesa
disertore si, ma uomo che nemmeno a un altro uomo tolse la vita.
Sinistro un treno arrancando lo portava diritto alla morte deportato,
smarrito, in guerra non puoi scegliere la tua sorte
sparare e uccidere oppure la fame, il freddo,
la prigionia ammazzi l’altro: giudice, boia,
assassino o nel fango del lager …la tua agonia.