Piccoli spostamenti del cuore

Album

È contenuto nei seguenti album:
1987 Parlami d’amore Mariù

Testo Della Canzone

Piccoli spostamenti del cuore di Giorgio Gaber

di GaberLuporini

MONOLOGO

(Interno di un piccolo bar – L’attore, seduto a un tavolino, si rivolge al cameriere) “Una birra, per favore… Cosa ci ha? Ah, va bene quella lì!”
Sono un po’ in anticipo. Meglio, così mi riordino le idee. E quando arriva lei… le dico tutto. Chissà che faccia fa!… Secondo me non se l’aspetta. E sì, perché io con lei mi sono sempre tirato un po’ indietro. Non che l’abbia fatto apposta… Mi viene naturale, e di solito funziona. Ha fatto tutto lei, fin dal primo giorno. C’era anche Mario. Stava ancora con lui. Me la ricordo benissimo: i suoi sguardi, anche un po’ troppo… coraggiosi, sfacciati. Ma le donne, quando partono… non le ferma più nessuno. Io mi tiravo un po’ indietro… chissà, forse per Mario… forse perché era proprio una ragazzina… Carina, molto carina, un po’ acerba, selvatica… Il mio genere.
Ma… forse ora… perché ho bisogno di freschezza… Certo… sono appena uscito da una storia di quelle tremende… No, bella all’inizio… ma poi… ecco, si fa a chi soffre di più… Amor proprio, ricatti, bisogni assurdi, litigi estenuanti, tragedie… Mamma mia! Che cosa assurda la cattiva qualità dell’amore! Bisognerebbe scappare, appena e così… Che poi forse, dopo un po’ di tempo, riesce anche a voler bene. Ma al momento è un disastro… Ore e ore nelle nostre stanze sempre un po’ buie… Quelle discussioni che durano giorni e notti… colpa mia… colpa tua… E l’angoscia che s’infila dappertutto… ti penetra, ti distrugge… Bisogna scappare… respirare, rinascere. E allora è chiaro che la ragazzina… sì, insomma… sentire qualcosa, qualcosa di nuovo che sta per nascere.
No, io all’inizio non volevo mica. E anche quando ci s’incontrava da soli… sì, uno scherzo, una carezza… Non ho mai voluto andare oltre. Mi bastava la sua presenza, mi bastava anche per quando non c’era. Sì, mi bastava sapere che esistesse. Sublimavo… E forse qui ho sbagliato.
“Perché vedi, Daniela…”, le dicevo, “tu per me sei come un distributorino di benzina. Ogni tre o quattro giorni ti vedo, faccio il pieno, e sono a posto.”
Quest’immagine del distributore d’amore mi era piaciuta, perché era la prima volta che mi capitava di gioire così naturalmente della bellezza di una donna. Mi pareva bella anche da lontano, qualsiasi cosa facesse, e dovunque me l’immaginassi: in casa da sola, a ridere in mezzo agli altri… o a letto con Mario. Insomma, l’amavo… in sé, come se non sentissi nessun bisogno… di averla.
(al cameriere) “Un’altra birra, per favore!… Sì, come quella di prima”.
Devo dire però che ultimamente il pieno… sì, il carburante… non mi dura più quattro giorni. Consumo di più: tre giorni, due giorni, un giorno… Maledizione! Mi viene in mente spesso, ho voglia di vederla. Mi ci vorrebbe un distributore d’amore a getto continuo. Lei invece è discontinua. D’altronde glie l’avevo detto io.
E io ora: SPUMM! Un attacco di quelli tremendi: SPUMM! Un avvampo. È come quando accendi il gas e ce n’è troppo: SPUMM! E il mio cuore libero come un pesciolino che circola e va…
Com’è bella la Daniela! Con quel corpo agile, così snello e dolce nelle sue curve, la pelle sottile, e quei capelli lisci e biondi che ondeggiano al suo muoversi. Non cammina, lei. Vola.
Vola tra tutti noi come un angelo… un angelo dolcissimo, ma con lo sguardo ironico, furtivo, quasi perverso. Com’è bella! Sono in trance. In me oscillano valori sentimentali… e anche viziosi. Sì, è vero, vorrei proprio sbatterla su un prato, quella canaglietta! Ma anche accarezzarle i capelli per delle ore con sentimento di eternità.
Quand’è così, è l’amore.
(con enfasi) Ma sì, Daniela: ti amo, ti amo. E anche tu, lo so… hai lasciato Mario per me. Mi ami, sono sicuro. D’altronde ci si doveva incontrare, è il destino. Non si va contro il destino. Ti amo, ti amo. Ti vorrei sempre. Mi manchi, e soffro, anche. Soffro quando non ti vedo, quando non so dove sei. (con enfasi crescente) L’amore è quest’ansia… perché certamente anche tu quando non mi vedi sei in ansia, lo so. Ma sì, piccolina, è vero. È colpa mia che non te l’ho mai detto, non ti ho mai detto “l’unica” parola che ti dovevo dire. Ma ora è finita. Basta con le attese che dilaniano. Tu cosa potevi fare, poverina… Ora sono io che ho deciso, che ti dico tutto… (quasi fuori di sé) Ti amo, ti amo, ti amo.
(al cameriere continuando a gridare) “Una birra, per dio!”
(guarda l’orologio) Non arriva. È un po’ in ritardo.
Sì, perché lei non bada a queste cose. Non si sa mai che fa… se viene, se non viene… Non le piacciono gli appuntamenti. Ha ragione, è fatta così. È anche di questo che mi sono innamorato. L’orologio… lei non lo guarda nemmeno… anzi, non ce l’ha. Bisogna che gliene regali uno, un orologino d’oro. No, per carità, non è il sue genere. Si fa presto a sbagliare… Di plastica, sì, di plastica… verdino chiaro…
Eccola, sta arrivando. Lo sapevo. Non cammina. Vola. Sono pronto, Daniela. Anche a me non mi ci vuole nulla a volare nel sublime.
È incredibile come le cose tanto attese, al momento che avvengono, siano un po’ meno magiche. Non è facile parlare… degli sconvolgimenti del cuore mentre lei inzuppa la brioche nel cappuccino. Si rischia di raccontare delle brutte poesie. Ma non posso certo rimandare ad un altro momento. Ecco, mi concentro, aspetto un attimo di silenzio, e glielo dico semplicemente: “Ti amo”.
Lei solleva la testa dal cappuccino e con tutta naturalezza: “Io no. Non ti amo. Credevo di amarti, ma non ti amo. Scusami, mi sono sbagliata”.
Bel colpo.
Un avvampo, un avvampo, un afflusso di sangue… Il cuore, che prima era così dolce al suo posto giusto, ora si sposta un po’ verso l’alto, passa rapido attraverso l’esofago, il mattone, e mi si ferma qui, alla gola.
(al cameriere, deglutendo) “Un’altra birra, per favore”.
Che vigliacca! Fa di tutto per farmi innamorare. Mi cerca dovunque, la spudorata. Lascia Mario per me… che anche lui, poveretto!… Ma chi se ne frega di Mario. Io ora che faccio? Devo rimontare, lo so… Non è facile rimontare, ma bisogna provarci. Ecco, le dico che non ha capito quanto “lei” sia importante per me. Mi sembra un po’ freddina. Rincaro la dose. Le scaravento addosso una tale quantità d’amore da far fondere un frigorifero. Niente, non va mica bene. Non fonde. Allora tiro fuori anche la vecchia storia di mia madre che mi trascurava, quella funziona sempre. Scivolo sempre più nella commiserazione, nel patetico, nel pietismo più spudorato. Non so se questa tirata fa effetto o se è ripugnante. Forse lei è intenerita, forse schifata. Niente, solo un po’ distaccata. Siamo all’atto finale: “Daniela, Daniela, non mi dirai mica che non mi vuoi almeno un po’ di bene!… Restiamo amici… ecco, sì, due fratelli”. Neanche questa so se le è piaciuta o no. Comunque ne approfitta: “Sì, volevo… volevo appunto chiederti… sì, un piccolo prestito…”
“Ma certo…” dico io “ci mancherebbe”.
“Ecco, solo due o trecentomila lire”.
“Volentieri… con piacere!”
E lei: “Grazie, lo sapevo che ci potevo contare. Sai… Devo andare qualche giorno in Sicilia… con Mario”.
Quando si firma un assegno siamo già in un’altra dimensione. Più ridicola, ma più vera.
“A chi lo intesto?” “A Daniela Pistoni”.
“Ah, già…” È come se di colpo rientrassi nella misura normale delle cose. Ora il sublime se n’è andato… ma automaticamente anche il dolore. II mattone è tornato al suo posto. L’amore, che invenzione! Possibile che sia solo questo piccolo spostamento del cuore?
Ora Daniela si alza, allegra come sempre. Mi bacia, mi saluta e si allontana.
Ma non vola. Cammina.

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