PLÁCIDO DOMINGO, L’ULTIMO DEI GIGANTI DELLA LIRICA DEL NOVECENTO

Di Gino Morabito

 

Neanche sua madre avrebbe immaginato un futuro tanto tumultuoso e una carriera così longeva per il figlio che battezza Plácido. José ‘Plácido’ Domingo Embil reca nel proprio Dna tutti i tratti di una terra calorosa e appassionata come la Spagna e un amore per l’opera che presto divampa.

Quando nel 1968 trionfa al Metropolitan di New York come sostituto di Corelli nell’Adriana Lecouvreur con Renata Tebaldi, è più di una promessa del bel canto. Da star della lirica calca i palcoscenici di tutto il mondo collezionando oltre centocinquanta primi ruoli. Ai successi nel melodramma aggiunge negli anni Novanta la straordinaria popolarità conquistata con le arie immortali dei capolavori dell’Ottocento unite ai classici della canzone napoletana e agli evergreen pop grazie all’exploit de I Tre Tenori.

Una voce inconfondibile rivolta anche verso ruoli da baritono e un’esperienza musicale alternata sul podio come direttore d’orchestra: Plácido Domingo, l’ultimo dei giganti della lirica del Novecento.

Da giovane sognava di diventare un calciatore professionista.

«Sono un inguaribile appassionato di calcio. Fino a qualche anno fa, non appena potevo, facevo partite con amici, soprattutto a Salisburgo d’estate tra colleghi. Una volta mi sono anche fatto male giocando con i macchinisti dietro le quinte prima di una recita di Cavalleria e Pagliacci, perché non potevo resistere alla tentazione di fare due tiri al pallone… ma ero in ciabatte e così sono scivolato battendo la schiena. Poi fortunatamente, nonostante il male, son riuscito lo stesso a fare la recita.»

È nato in teatro, educato in teatro, cresciuto in teatro. Ha sbirciato il mondo dal palcoscenico, non conosce un’altra vita. È come uno di quei divi di Hollywood che hanno seguito le orme dei genitori e hanno dedicato, a volte sacrificato, l’intera esistenza allo spettacolo.

«Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di musicisti. Mia madre Pepita era soprano ed è stata una delle maggiori interpreti della Zarzuela e mio padre Plácido era baritono e violinista. Insieme hanno fondato la loro compagnia di Zarzuela e così io sono nato e cresciuto in teatro. Grazie a loro ho scoperto la mia vocazione per la musica che è divenuta naturalmente parte essenziale della mia vita. Dalla musica posso veramente dire di avere solo ricevuto. Non è un sacrificio quando riesci a fare del tuo sogno la tua professione per tutta la vita.»

Non è rimasto intrappolato nel meccanismo di uno star system che lo risucchiava al suo interno. Ha sempre accettato le proposte di lavoro che gli venivano offerte misurandosi preventivamente con le proprie possibilità e le proprie forze.

«Ho sempre cercato di non fare mai il passo più lungo della gamba. Credo che la coerenza verso sé stessi sia fondamentale per restare in equilibrio quando si entra nello star system internazionale, come ad esempio è successo a me dopo il successo de I Tre Tenori.»

L’euforia popolare per I Tre Tenori ha contagiato il mondo: il concerto del 1994 al Dodger Stadium fu trasmesso in mondovisione per un’audience di 1,3 miliardi. Un’incredibile esperienza che ha cambiato per sempre le vite dei tre artisti, non solo economicamente, ma dando loro una popolarità che è andata ben al di là dei teatri d’opera.

«Il successo te lo dà il pubblico, dunque non è un traguardo che raggiungi una volta e per sempre. Ogni volta che sali sul palcoscenico devi guadagnartelo e soprattutto essere all’altezza delle aspettative del pubblico in sala, perché nel nostro lavoro non basta avere un nome, bisogna dimostrare ogni sera di essere in grado di emozionare.»

Si narra che avrebbe strappato a Laurence Olivier un complimento lusinghiero: “Domingo recita Otello bene almeno quanto me, e in più ha quella voce”. Quando si pensa a un grande della musica classica del secolo scorso o a una star del nuovo millennio, immancabilmente li trovi a fianco di Plácido in un allestimento teatrale o in una delle oltre duecento incisioni.

«Ho avuto la fortuna di duettare con tantissimi artisti straordinari ed è impossibile dire un nome su tutti. In ambito operistico ho iniziato la mia carriera partecipando a produzioni dove cantavano veri e propri miti come Giuseppe Di Stefano. Ho fatto il mio debutto al Metropolitan di New York niente meno che al fianco di Renata Teabaldi. Ma durante la mia lunga carriera ho avuto l’opportunità di duettare con artisti pop come John Denver, Julie Andrews, Barbara Hendricks.»

Una strada sempre in salita, che lo ha portato a conquistarsi un successo per niente facile. Malvagi e antieroi rientrano tra i ruoli più avvincenti di un’opera ma Domingo, attore completo che lavora duramente per conquistare le simpatie del pubblico e preferisce di gran lunga inscenare un animo tormentato, non li ha mai amati: “I personaggi completamente negativi non sono nelle mie corde”. Meglio gli eroi.

«Nell’opera si portano all’estremo le passioni, i valori e gli stati d’animo per sublimarli attraverso la musica e arrivare a toccare, soprattutto in Verdi, i nostri sentimenti. Per me in concreto l’eroe è chi sa testimoniare nei fatti e con la propria vita i valori veri e fondanti della nostra civiltà. Penso ad esempio a san Giovanni Paolo II che ho avuto la fortuna di conoscere nel suo lunghissimo pontificato e anche a san Giovanni XXIII. Ma ci sono anche tantissimi eroi tra la gente comune, che forse non diventeranno mai santi o non avranno mai il mantello di Superman, ma certo ogni giorno affrontano gravi problemi contingenti scegliendo la strada del rispetto del prossimo.»

Farsi prossimo e amare è un concetto cristiano. C’è chi sostiene che la musica sia il linguaggio di Dio, e una parola sulla quale valga la pena esprimersi è fede: ovvero quella necessità di mistero, quel motore imprescindibile che ci rende curiosi dell’esistenza umana.

«L’incredibile armonia della natura e l’infinita complessità dei meccanismi che la regolano, e con essa che regolano anche noi esseri umani, ci spinge ad andare oltre con lo sguardo per cercare quel raggio divino che dà senso ed è motore di tutto questo e che non può essere definito frutto del caso. La fede per me è la conquista più grande, per tutta la vita si può inseguire questo traguardo che nei momenti più bui diventa come quell’abbraccio che da bambini cerchiamo tra le braccia della mamma, l’unico abbraccio che ci consolava da ogni paura e ci restituiva la serenità.»

Tagliato l’invidiabile traguardo degli ottanta, l’ultimo dei giganti della lirica del Novecento ancora in carriera, vede riflesso nello specchio…

«… un giovanotto di ottant’anni con barba e capelli bianchi, ma sempre con un mare di entusiasmo per la vita.»

Un uomo con il “vizio” dell’opera e con forte il desiderio di affrontare nuovi ruoli non ancora interpretati.

«Ci sono pagine di un fascino straordinario che è un peccato non avvicinare, esortando me stesso a dare sempre il massimo delle mie possibilità. Ed è lo stesso consiglio che darei a un giovane.»

Nell’Italia intera, e più diffusamente in ogni Paese, il settore dello spettacolo dal vivo, che celebra l’aggregazione sociale per eccellenza, attraversa un momento di grave difficoltà.

«Si è cercato in questi mesi di non far spegnere completamente le luci nei teatri con gli spettacoli in streaming, perché era l’unica alternativa possibile. Io credo che il teatro non abbia bisogno di eventi che lo spettacolarizzino per rifiorire. Il teatro ha la sua forza nell’emozione che riesce a creare dal vivo e penso che questa sensazione, insieme alla bellezza della forma d’arte che prende vita in teatro, che sia opera, prosa, sinfonica o balletto, manchi tantissimo alla gente.»

Per la gente di tutto il mondo Plácido Domingo è e rimane tra le figure leggendarie dell’opera. Un artista unico con un’identità musicale che è la propria verità.

«È la verità del teatro, dove – come diceva Gigi Proietti – “tutto è finto ma niente è falso!”.»

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