Recitativo

Album

È contenuto nei seguenti album:

1968 Tutti morimmo a stento
2005 In direzione ostinata e contraria

Testo Della Canzone

Recitativo di Fabrizio De Andrè

(Due invocazioni e un atto d’accusa)

Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.

Dell’inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.

Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.

Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.

Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l’umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all’orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?

Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.

Uomini, poiché all’ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce.

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Accordi

 
CORO 
DO         RE-       DO    RE-  FA  SOL7      DO         DO5+ 
C'era un re che aveva due castelli: uno d'argento, uno d'oro.  
 LA-        DO MI- RE- LA7 RE- RE-7 SOL FA 
Ma per lui non il cuore di un amico, mai 
DO     FA  LA- RE- SOL7 DO 
 un'amore, ne' felicita'. 

RECITATO 
Uomini senza fallo, semidei che vivete in castelli inargentati, che di 
gloria toccaste gli apogei, noi che invochiam pieta' siamo i drogati. 
Dell'inumano varcando il confine, conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine: che la pieta' non vi sia di vergogna. 
Banchieri, pizzicagnoli, notai, coi ventri obesi e le mani sudate, coi cuori a forma di salvadanai, noi che invochiam pieta' fummo traviate. Navigammo su fragili vascelli per affrontar del mondo la burrasca ed avevamo gli occhi troppo belli: che la pieta' non vi rimanga in tasca. 
Giudici eletti, uomini di legge, noi che danziam nei vostri sogni ancora siamo l'umano desolato gregge di chi mori' con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia votaste, decidendone la sorte, e quanto giusta pensate che sia una sentenza che decreta morte? 

CORO 
Un castello lo dono', e cento e cento amici trovò. 
L'altro poi gli porto' mille amori ma non trovo la felicita'. 

RECITATO 
Uomini cui pieta' non convien sempre, mal accetando il destino comune, 
andate nelle sere di Novembre, a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte ed il vento in mezzo ai camposanti muover le tombe e metterle vicine, come fossero tessere giganti di un domino che non avra' mai fine. 
Uomini, poiche' all'ultimo minuto non vi assalga il rimorso ormai tardivo per non aver pieta' giammai avuto e non diventi rantolo il respiro: sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra muri di calce, come crescere il gran guarda il Villano finche' non sia maturo per la falce. 

CORO
Non cercare la felicita' in tutti quelli 
a cui tu hai donato per avere un compenso, 
ma solo in te, nel tuo cuore, se tu avrai donato solo per pieta', 
per pieta', per pieta'...

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