L’ultima stanza a destra

È la colonna sonora dei seguenti libri:

Testo Della Poesia

L'ultima stanza a destra di Luciano Somma

Voce narrante: Francesco Cusani

La casa si trovava a piano terra, c’era l’ingresso ed un lunghissimo corridoio con diverse porte, una per ogni stanza da letto, fino ad arrivare in un grande salone che era in pratica il posto maggiormente frequentato dalla famiglia, in effetti fungeva da soggiorno e sala da pranzo, e dava su un giardino abbastanza grande con un piccolo orto e qualche albero da frutta.

Il capo famiglia era un impiegato di banca 48 enne e la moglie una maestra di scuola elementare sulla quarantina; la prole, numerosa: cinque maschi e due femmine, che si distanziavano di due anni l’uno con l’altro, dai 16 ai 4 anni.

Viveva, con la già numerosa famiglia, il padre di lei. Aveva superato di poco l’ottantina, un commerciante di pellami ormai in pensione rimasto vedovo, che era andato ad abitare con l’unica figlia femmina; gli altri due figli maschi si erano trasferiti in altre città ben lontane da Napoli.
Don Carmine, come affettuosamente veniva chiamato dai vicini ed in famiglia, una volta smessa l’attività, aveva venduto tutto ed il ricavato, diverse decine di milioni, lo aveva diviso tra i tre figli. La femmina, Camilla, aveva potuto realizzare il sogno dell’acquisto di quella casa.
Nonostante guadagnassero bene, lei ed il marito Filippo non erano mai riusciti a mettere nulla da parte, i 7 figli, quasi tutti in età scolare, avevano tante di quelle esigenze che i soldi non bastavano mai. Quei milioni erano stati una vera manna dal cielo: “santi e benedetti”.

Erano gli inizi degli anni 90 e dieci anni prima c’era stato il terremoto, la città ancora risentiva, specialmente nei quartieri popolari, di quell’effetto sismico devastante nei segni chiaramente visibili.
Loro abitavano in una zona centrale, ma, poiché il palazzo aveva subito grossi danni, si erano trasferiti nella zona collinare del Vomero dove prima erano stati qualche anno in una casa d’affitto e poi avevano avuto l’opportunità di acquistare quella grossa abitazione da ristrutturare.
L’avevano fatto mano a mano e adesso, finalmente, era più che abitabile, arredata con mobili moderni, senza però grosso sfarzo, lasciando un’unica stanza, ancora da adibire a qualcosa, sempre chiusa a chiave.
Quest’ultima, da buon San Pietro, l’aveva tenuta il nonno il quale ogni tanto, almeno una volta al mese, vi entrava, la rinchiudeva alle sue spalle e vi restava alcune ore. Per le pulizie non c’erano problemi, don Carmine provvedeva lui stesso: da giovane era stato in marina e dunque aveva imparato a fare di tutto, dal lavare i propri panni a spolverare.

Nessuno della famiglia era mai entrato in quella stanza, l’ultima sulla destra prima del salone, Camilla e qualche nipote avevano tentato di saperne qualcosa, ma da quell’orecchio il vecchio non sentiva, pretendeva la sua intimità, ci mancherebbe altro, diceva: «vi ho messo in condizione di avere quasi una reggia e volete mettere il naso nell’unico angolo privato che ho? Non sia mai!».

Nonostante i suoi ottant’anni godeva di ottima salute, usciva tutte le mattine per fare la sua brava passeggiata di qualche chilometro, nel pomeriggio, durante la buona stagione, trascorreva qualche ora in giardino, mangiava di tutto bevendo a tavola anche un buon bicchiere di vino bianco, se lo faceva venire da Mondragone, e la sera guardava i film in programma alla Tv.

La stanza “segreta” aveva un piccolo balconcino che affacciava sulla strada in discesa, sicché si può dire che dal di fuori si poteva accedere con molta facilità, ma don Carmine era molto previdente, aveva fatto mettere una cancellata che era chiusa dall’interno con un grosso e robustissimo catenaccio a prova di ladri, “anche quelli più scaltri”, diceva.

Quella mattina, era da poco passato mezzogiorno, come faceva ormai da tempo, don Carmine aveva rinchiuso la porta alle sue spalle e Camilla, che si era presa qualche giorno di ferie dalla scuola ed era sola in casa, stava in cucina tagliando delle patate quando sentì un grido provenire dalla stanza. Cercò di aprire la porta, ma non ci fu verso; corse per la strada tentando di capire almeno di cosa si trattasse, ma la cancellata e la finestra chiusa, con le tendine abbassate, non le consentirono di vedere un bel nulla. Rientrò in casa precipitandosi a chiamare al telefono il marito al quale brevemente spiegò la cosa e questi le assicurò che sarebbe rientrato appena possibile, il tempo di chiedere il permesso al direttore della filiale nella quale lavorava. Camilla fu presa dal panico, andava su e giù per la casa, avrebbe potuto allertare i vicini, ma un pensiero le suggerì di aspettare. Dopo un po’ si avvicinò nuovamente alla porta chiamando a voce alta, nevroticamente, il padre.

Passò qualche minuto e don Carmine uscì seguito da una donna alta, bionda, sui quaranta che incrociando il suo sguardo arrossì, scappando verso la porta e guadagnando l’uscita.

«Che c’è figliola?», disse il padre con un disarmante sorriso sulle labbra, «hai scoperto il mio “segreto” e mi dispiace che l’hai dovuto fare perché quella stupida di Matilde si è messa a gridare, non aveva mai avuto questa reazione nonostante io le dessi il solito pizzicotto sulle natiche nel “momento culminante”, non potevo sapere che stamattina la siringaia, sai la mia piccola soffre di reumatismi, aveva avuto la mano pesante lasciandole “quella parte” indolenzita! Vedi sono tre anni che va avanti questa nostra relazione, prima di questa casa andavamo in albergo, ricordi quando ti dicevo che andavo a trovare il mio amico Aldo, ma adesso con una stanza a disposizione, che ho preteso, sarebbe stato da sciocchi non approfittare, ti pare?».

Quando venne Filippo e seppe la cosa scoppiò in una sonorissima risata ed il giorno dopo furono giocati tre numeri a lotto.
Non uscirono!

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